I profughi...
é
uno scenario inimmaginabile, un brulichio di persone accampate ovunque, tende di
fortuna, intelaiature di legno senza la minima copertura.
Ci sono tanti piccoli
fuochi sparsi
fatti con piccoli pezzi di legno per cucinare la cena. Piccoli
tegami che parlano di miseria e disperazione con dentro un pò di farina, un pò
di foglie, una pannocchia di grano turco. Gli occhi che incontro sono tristi,
vuoti, spenti, i loro volti
parlano di sofferenza e
fame. É difficile essere
qui, é difficile giocare con i bambini, troppa disperazione, troppa ingiustizia.
Il campo raccoglie migliaia di persone che non hanno
niente. Hanno abbandonato i
loro villaggi in fretta, camminando a piedi giorno e notte per raggiungere un
posto sicuro. Gli ultimi arrivati qui,
hanno trovato una situazione già
difficile, molti non hanno trovato un tetto sotto il quale dormire. Non c'è
acqua sufficiente ne cibo. La parrocchia ha messo a disposizione la scuola ma
c'è molto disagio con cinquanta persone che dormono nella stessa aula. Le
organizzazioni umanitarie portano cibo e acqua ogni giorno
ma non riescono a
soddisfare i bisogni primari di tutti. É notte, cade la pioggia e io non riesco
a dormire, fuori ci sono migliaia di persone, donne e bambini che hanno perso
tutto e che adesso sono sotto l'acqua senza un riparo... ed io sono qui, con un
tetto sopra la testa e sotto le coperte. ...É difficile da accettare... "Se
non posso fare nulla che sono qui... cosa potrò fare quando sarò a casa..."
Mi colpisce tantissimo
il numero di bambini
che c'è qui e mi stupisce la loro gioia,
i bambini che
incontri, ridono
e sono felicitati al massimo,
muovono le loro piccole mani
senza sosta,
fanno le capriole. Ti chiamano da lontano e ti corrono incontro,
sono incuriositi, vorrebbero toccarti ma si vergognano, si nascondono la faccia,
poi si fanno coraggio, si avvicinano, ti prendono per mano e alla fine ti
vengono dietro per lunghi tragitti con la massima libertà e serenità.
Mabasele
andiamo a visitare la piccola comunità delle
Sorelle di Gesú di Shar De Focault,
vivono ai margini della foresta. Ci accoglie a piedi nudi, Suor Anna Sara,
italiana insieme a due suore congolesi, una francese. Non fanno nulla di
particolare, di appariscente, di straordinario, pregano e lavorano nel quadro
generale più semplice e dimesso.
Vivono con loro e come loro. Suor Anna Sara mi
parla della difficile realtà che loro condividono
con queste persone e racconta
della fatica sopportata dalle mamme congolesi. Mentre mi parla, sento un senso
di disappunto, quasi di rabbia nella sua voce, come se io le rappresentassi in
quel momento, quella società occidentale che vive schiacciando quegli esseri
umani come se fossero sassi.
Kiondo.
Visitiamo l'ospedale di Kiondo, che è la realtà più conosciuta di questo
villaggio. Intorno i campi di grano e orzo, incominciano a biondeggiare. É un
centro commerciale molto importante per i porri, le cipolle, le verze e le
patate. La linea dell'Equatore
passa proprio in centro di questo paese e domani
incominciamo il viaggio di ritorno
verso Kampala. Il tragitto si snoda per la
lunga discesa
che da Kiondo va verso il Parco Nazionale del Virunga. Questa
strada è stata tracciata e voluta da Monsignor Emanuel Katalico trent'anni fa
per favorire il trasporto del pesce. Vediamo risalire il percorso, tanti giovani
bagnati di sudore, a piedi o spingendo le loro biciclette cariche di merci,
pesce secco o salato. Vanno a venderlo per guadagnare qualcosa. Proseguiamo
verso un
fiume alle origini delle sorgenti del Nilo attraversiamo il Parco ed
arriviamo alla frontiera con l'Uganda. Molti
ci hanno ringraziato per essere
venuti nonostante la guerra,
ci hanno ringraziato per aver anche solo parlato
con loro.
Una donna di Lukanga, per aver ricevuto una visita nella sua capanna,
ci ha regalato un vassoio pieno di banane maracuja e uova. Ci hanno ringraziato
per aver portato un segno di speranza in una terra dimenticata dal mondo...
‘‘ e adesso, cosa fare per
aiutarli...’’